Il modello del counseling nutrizionale nella gestione del paziente pediatrico in sovrappeso

 
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ARTICOLO ORIGINALE

Il modello del counseling nutrizionale nella gestione del paziente pediatrico in sovrappeso

Emanuela Oliveri (1), Fabio Scaramelli (2), Maria Stella Valente (3), Michele Valente (4)

1 Dietista, counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN);

2 Professional counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN);

3 Dottore in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Campus Biomedico, Roma;

4 Pediatra di famiglia e professional counselor, ASLroma1, Roma

Pubblicato il gennaio/febbraio 2021


Il sovrappeso e l’obesità in età infantile sono sempre più diffusi, come attestato anche dai recenti dati dell’osservatorio “Okkio alla Salute” [1-2]; in Italia, il 23% dei bambini di 8-9 anni sono in sovrappeso e il 9% della stessa fascia di età sono obesi. La dietoterapia nel paziente pediatrico si rende quindi sempre più necessaria sia in ambito territoriale, ambulatoriale che in ambito ospedaliero. La dietoterapia e i programmi nutrizionali presentano tuttavia una serie di peculiarità e di complessità, sia da un punto di vista strettamente tecnico biologico, che da un punto di vista di approccio comportamentale e comunicativo. In questo articolo gli autori propongono e analizzano un approccio al bambino e al suo contesto familiare basato sul modello del counselling nutrizionale. Vengono illustrati i principi teorici e le pratiche applicative di un approccio alla nutrizione basato su una visione sistemica del comportamento alimentare.

La dietoterapia nel paziente pediatrico è un intervento che si rende sempre più necessario in ambito nutrizionale, sia in ambulatorio che in ospedale. In “Okkio alla Salute”, studio promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, è ben evidenziata la correlazione tra l’obesità infantile e giovanile con gli stili di vita adottati [1].

Nelle conclusioni dell’edizione 2016, la più recente, è emerso come oltre il 23% dei bambini di 8-9 anni sia in una condizione di sovrappeso e come oltre il 9% dei bambini della stessa età sia obeso [1]. Inoltre questo studio, in aggiunta a questi importanti dati epidemiologici, fa emergere che:

  • l’obesità dei bambini o degli adolescenti è correlata alle condizioni familiari [1] e che la principale difficoltà nell’approcciare un bambino con necessità di cambio di stile di vita sia rappresentato dalle famiglie;

  • il genitore accudente, spesso, non è in grado di individuare correttamente la condizione di sovrappeso o di obesità del figlio: il 50,3% delle madri di bambini in sovrappeso e il 12,2% delle madri di bambini obesi considerano il proprio figlio normopeso [1];

  • le madri non sono sempre capaci di individuare il fabbisogno energetico per i propri figli: il 73% delle madri di bambini in sovrappeso e il 53,5% di quelli obesi pensano che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio sia giusta [1].

Un recente studio irlandese [2] sottolinea inoltre lo stigma a cui è sottoposto il bambino sovrappeso o obeso, evidenza sociale confermata da molti altri studi [3], stigma che può giustificare e condizionare il comportamento di “evitamento” da parte dei genitori. Per la salute dei giovani adolescenti e preadolescenti la situazione diventa ancora più complessa se si tiene presente che spesso spetta al pediatra di famiglia, nelle visite periodiche per valutare la crescita (i cosiddetti bilanci di salute), registrare la situazione di sovrappeso/obesità che si è instaurata.

Diventa fondamentale in questi casi che il pediatra sia consapevole dello stato emotivo in cui il bambino e i suoi genitori si trovano, secondo quanto ben rappresentato dal Ciclo di Di Clemente Prochaska [4] (Figura 1).

 
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Come si può evincere dallo schema, se il gruppo familiare si trova in fase precontemplativa è inutile tentare di instaurare un piano dietoterapeutico perché, di fronte alla novità perturbatrice della comunicazione dell’eccesso ponderale, il bambino e la sua famiglia, anche emotivamente, non sono affatto pronti al cambiamento e tendono a non “contemplare” questa possibilità (fase precontemplativa). In questo caso è già un grande successo “accompagnarli” a rendersi conto della situazione, suggerendo la possibilità di un nuovo incontro in cui provare a proporre un cambiamento nello stile di vita (fase contemplativa). Se invece sono i genitori o addirittura il ragazzo a chiedere aiuto, siamo in una fase successiva che può senz’altro favorire l’intervento del professionista (fase della determinazione).

Oltre alla difficoltà di aderire ai programmi dietoterapici, un altro problema sottolineato dagli studi in questione è il drop out decisamente alto anche in chi ha inizialmente aderito al percorso; nel citato studio irlandese è del 75% la percentuale di abbandoni in questi percorsi, giustificati prevalentemente da motivi di difficoltà logistica o di “insoddisfazione della famiglia” [2]. Questa insoddisfazione contribuisce, con gli altri bias cognitivi, a rendere la dietoterapia dell’età pediatrica un percorso particolarmente problematico. I dati della letteratura ci rivelano come uno dei fattori che rendono complessa la dietoterapia, soprattutto nei bambini e nei preadolescenti, sia l’errata percezione del loro peso da parte dei genitori, che tendono a non ritenere necessario questo tipo di intervento. Questa distorta percezione delle reali condizioni di peso rende particolarmente difficile e problematico l’intervento da parte del professionista della salute all’interno del sistema familiare del piccolo paziente.

Altri articoli pubblicati su questa rivista si sono già occupati di comunicazione tra il professionista e il piccolo paziente in ambito nutrizionale, pur analizzandolo da punti di vista lievemente diversi [5-7]. Il modello del counseling nutrizionale, presentato in questo testo, si basa sull’utilizzo di tecniche comunicative strutturate, usate con abilità e piena consapevolezza, con l’obiettivo di instaurare e mantenere una relazione buona, nel nostro caso a fini terapeutici, tra gli attori della relazione stessa; l’uso di queste tecniche ci permette di collocare la catena di dati precedentemente descritti all’interno di una narrazione soggettiva, ritenuta assolutamente vera dal genitore, sebbene slegata dall’opinione del professionista e dalle evidenze scientifiche. Essa è tuttavia percepita, vissuta e narrata dai protagonisti in maniera tale da diventare la storia dominante condivisa da tutto il sistema famiglia [8]. Questo stato di cose può complicare l’azione del pediatra e/o del nutrizionista. Può essere particolarmente utile ovviare in questi casi ai numerosi bias cognitivi che possono infarcire la relazione genitore/figlio:

  1. la percezione dello schema corporeo stesso del bambino sovrappeso o obeso;

  2. la definizione stessa di obeso o sovrappeso non derivante dall’oggettivo stato fisico ma da una percezione prettamente soggettiva;

  3. la condizione di obeso come base dello stigma sociale, dato ampiamente documentato negli articoli citati;

  4. lo stravolgimento delle abitudini familiari: tale stravolgimento può interessare banalmente sia la necessità di cambiamento in cucina da parte di chi si occupa dell’alimentazione del bambino sia la relazione, soprattutto tra madre e figlio, in cui il cibo può risultare investito di valenze e significati che si fatica a modificare e che si teme di cambiare

Una cura particolare della comunicazione è indispensabile da parte del professionista sanitario nei confronti della famiglia e del bambino in modo da inserirsi nella relazione intrafamiliare in modo strategico, professionale, non improvvisato ma consapevole. La necessità di coinvolgere gli adulti di riferimento nei percorsi di cambiamento di stile di vita in età pediatrica è d’altro canto sottolineata anche dagli organismi internazionali e dai vari statement sull’argomento. L’ambiente familiare è infatti considerato come il luogo in cui si forgiano le abitudini alimentari, l’interesse per l’attività fisica o la predilezione per i comportamenti sedentari e altri fattori che influenzano lo stato ponderale del bambino [1].

La relazione che si instaura tra bambino e genitore può essere paradossale e sconcertante per il professionista, come può esserlo per esempio il fatto che un genitore poggi la propria valutazione del peso del figlio sulla propria percezione visiva più che sull’opinione ponderata di un medico o di un professionista della salute [2].

Il professionista non può però ignorare il fatto che ogni famiglia debba essere considerata come un sistema nel quale il cambiamento impresso su un qualunque membro ha ripercussioni sull’intero sistema, secondo i principi tipici della teoria dei sistemi [9], e quindi che la dietoterapia del bambino avrà ripercussioni a molti livelli sull’intero sistema famiglia. Il counseling nutrizionale è una modalità di conduzione dell’incontro professionista-paziente che utilizza tecniche comunicative ben precise, una forma di facilitazione per potersi inserire in modo efficace nella logica dei rapporti genitori/bambini.

L’obiettivo è modificare le dinamiche consolidate in quelle famiglie che sono disfunzionali dal punto di vista nutrizionale. Perché ciò accada è necessario che il professionista della nutrizione sia in grado di operare alcuni passaggi del profilo comunicativo:

  1. accogliere le posizioni e anche le opinioni dei genitori (“come se per loro rappresentassero la verità”) [10]. Se i genitori si sentono visti e accolti nelle loro posizioni, non svalutati nelle loro opinioni, si instaura subito un clima relazionale facilitante. Occorre evitare le contrapposizioni frontali che potrebbero ergere una barriera comunicativa: è invece necessario valutare le informazioni, per quanto bizzarre e giunte da fonti inattendibili, che sono in possesso della famiglia e valutare, come già detto, l’impatto della nuova terapia sull’intero sistema, utilizzando la comunicazione come grimaldello in grado di aprire la porta delle regole familiari;

  2. posizionarsi quindi come professionista e porre in chiaro i dati scientifici di cui si è in possesso e le osservazioni fatte sul bambino, in maniera semplice e chiara;

  3. verificare il grado di comprensione e l’eventuale presenza di difficoltà, dubbi o curiosità e chiudere sempre il colloquio dando una qualche disponibilità o comunque un canale comunicativo che possa offrirsi come strumento di confronto prima del nuovo appuntamento.

È come una sorta di danza, un fluire alternato e attento di valutazioni, di domande e di suggerimenti, in cui il bambino e la famiglia si sentono accolti, visti, considerati, ma anche aiutati e rinforzati nella loro determinazione. Questo tipo di movimento comunicativo viene definito nella scuola di counseling sistemico come “movimento dei tre passi”.

Questi movimenti permettono al professionista di costruire un’alleanza terapeutica con la famiglia del piccolo paziente; essi sono decisamente insoliti per un sanitario. Egli porta spesso in retaggio dalla propria formazione universitaria l’idea di unidirezionalità delle informazioni e di una relazione lineare [11] con i pazienti, che dovrebbero vederlo nella veste di esperto unico della loro salute e alle cui indicazioni aderire perfettamente. I movimenti comunicativi insoliti sono resi possibili mutando il modo di concettualizzare la relazione.

Questa può essere la conseguenza dell’utilizzo del modello del counseling nutrizionale [12] nell’esercizio della propria professione. Le abilità del counseling nutrizionale rendono possibile inserirsi in un rapporto che sembra esclusivo, quale quello genitore/figlio, in modo delicato e contemporaneamente efficace, senza sminuire mai le opinioni dell’adulto, spesso dominanti nella diade con il bambino, ma al tempo stesso senza rinunciare alle proprie competenze nella valutazione della condizione ponderale e nutrizionale di quest’ultimo.

Ciò è reso possibile dall’utilizzo di tecniche di ascolto attivo [11] e di restituzione non giudicante che del modello del counseling nutrizionale fanno parte integrante. È importante che, nel colloquio esplorativo delle abitudini alimentari, il professionista si inserisca nel rapporto, ascoltando le voci di entrambi i genitori. Egli deve cercare di eludere la tendenza della coppia genitoriale a parlare come se il professionista non fosse presente o al contrario come se conoscesse “tutti i non detto” che caratterizzano le regole familiari [12] in ogni ambito e, segnatamente, nell’area della nutrizione.

Addirittura ci sono spesso “segreti” che possono essere non descritti o descritti in un “lessico familiare” difficilmente interpretabile da un estraneo [13], come rischia di esserlo il sanitario. Le tecniche di ascolto attivo e le domande appropriate [11], poste in doppio a bambino e genitore, possono ovviare alla difficoltà nel creare una relazione triadica, in cui i tre comunicanti si pongano su uno stesso piano relazionale, con pari diritto alla parola. L’utilizzo consapevole delle tecniche del counseling nutrizionale potrebbero permettere di inserirci nella relazione in modo da svelare con delicatezza i non detti e in modo da spostare l’asse tra mantenimento delle regole vigenti e necessità di cambiamento dello stile di vita [8], nella direzione di quest’ultimo.

È necessario che il sanitario sia in grado di far emergere le difficoltà della famiglia nel resistere alle richieste e alle insistenze del piccolo paziente: ciò può essere reso possibile attraverso una forma di ascolto attivo, non giudicante [15] e con l’utilizzo appropriato di domande, strategicamente orientate ad arte alla coppia genitoriale che abbiamo di fronte. L’utilizzo dell’ascolto attivo e delle domande opportune rivelano spesso le incongruenze di alcune richieste genitoriali.

Talora, per esempio, i genitori si aspettano che sia il bambino ad avere la capacità di scegliere il comportamento alimentare giusto o di comprendere le implicazioni sanitarie dell’obesità. Un altro strumento comunicativo potente, da affiancare alla domanda, è l’uso dei riassunti e delle restituzioni strategiche. Esse, se ben utilizzate, ridefiniscono la narrazione del care giver, svelano le sue difficoltà a opporre un diniego alle insistenti richieste, quasi inevitabili, del bambino di fronte a un cambiamento delle regole alimentari. Il bambino può percepire gli atteggiamenti degli adulti spesso come contraddittori rispetto a quelli tenuti fino ad allora e per lui questo è incomprensibile: rischia di reagire emotivamente con una carica negativa, complicando i rapporti intrafamiliari.

Il professionista formato con il modello del counseling nutrizionale sa “so-stare” in questa descrizione di difficoltà e ha, soprattutto, i mezzi per riposizionarsi nel proprio ruolo di sostegno e di accompagnamento attraverso l’uso di un altro strumento strategico, una tecnica che rende visibile all’adulto cosa può aiutarlo a gestire la difficoltà stessa. La “magia” di questa tecnica comunicativa è che, come la famiglia ha potuto raccontare la propria difficoltà, così è la famiglia stessa a costruire la propria soluzione, guidata dal professionista in questa verbalizzazione. È possibile che, in questo contesto, le soluzioni scaturiscano dai bambini stessi, o per meglio dire, che siano loro a svelare “il trucco” per renderle visibili agli occhi dei genitori.

Questa tecnica “magica”, che si utilizza quando gli interlocutori sono più di uno, consiste in una danza a tre di domande esplorative e riflessive poste nel giusto ordine ai soggetti di fronte a noi: con le opportune restituzioni da parte nostra, queste domande fanno emergere la circolarità dei comportamenti familiari e in che punto il circuito ricorsivo si può spezzare, permettendo alla famiglia di uscire da un circolo vizioso ed entrare in una spirale più virtuosa.

Le abilità comunicative del counseling nutrizionale, attraverso l’approccio sistemico che coinvolge il maggior numero di membri possibile della famiglia nella dietoterapia del bambino, l’ascolto attivo e la punteggiatura di domande sulle difficoltà del genitore, la ridefinizione delle responsabilità effettuata in modo non giudicante né contrappositivo, e il più possibile rispettosa delle regole familiari, possono favorire il miglioramento della partnership tra sanitario e famiglia del paziente La conseguenza di tutto ciò è un aumento della “adherence” alla dietoterapia e la diminuzione del drop out, e quindi la possibilità per i piccoli di apprendere una modalità sana di approcciarsi al cibo.

Il fine ultimo è che la famiglia intera del bambino possa iniziare un percorso centrato sulla nutrizione, tale da permettere di implementare un approccio salutare, senza attribuire l’intero peso della responsabilità delle scelte al piccolo paziente. Ciò implica un salto nel livello delle relazioni familiari, conseguente a un diverso livello di apprendimento [16] su ciò che è utile al bambino e ciò che invece è dannoso, anche se per ottenere questo fine può essere necessario rivedere gli equilibri familiari.

References

1. Spinelli A, Galeone D, Menzano MT, et al. Gruppo Okkio alla Salute. Il sistema di sorveglianza Okkio alla Salute nel contesto internazionale. In Il Sistema di sorveglianza Okkio alla SALUTE: risultati 2016. Supplemento 1, vol. 31 n. 7-8 (luglio-agosto 2018) del Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità.

2. Kelleher E, Davoren MP, Harrington JM et al. Barriers and facilitators to initial and continued attendance at community-based lifestyle programmes among families of overweight and obese children: a systematic review. Obes Rev. 2017 Feb;18(2):183-94.

3. Van Geel M, Vedder P, Tanilon J. Are overweight and obese youths more often bullied by their peers? A meta-analysis on the correlation between weight status and bullying. Int J Obes (Lond). 2014 Oct;38(10):1263-7.

4. Prochaska JO, Norcross JC, DiClemente CC. Changing for Good. William Morrow Paperbacks, 1994.

5. Tanas R, Caggese G et al. Il pediatra e l’obesità: riprova e vinci in 5 mosse. Quaderni ACP 2020;1:4-11

6. Battino N, Cremonese P. Counselling e sovrappeso infantile: la voce dei pediatri. Quaderni acp 2016;23:31-4.

7. Cremonese P, Battino N, Picca M. Parliamo di cibo Riflessioni sul problema dell’eccesso di peso. Quaderni acp 2014;21:90-1.

8. Selvini Palazzoli M, Boscolo L, Cecchin G, Prata G. Paradosso e controparadosso. Raffaello Cortina Editore, 1975.

9. Malagoli Togliatti M, Lubrano Lavadera A. Dinamiche relazionali e ciclo della famiglia. Il Mulino, 2002.

10. Gordon T. Relazioni efficaci. La Meridiana, 2005.

11. Oliveri E. Scaramelli F. Piccolo manuale di counseling nutrizionale. Onda d’Urto Edizioni, 2019.

12. Oliveri E, Scaramelli F. Counseling Nutrizionale e adherence al cambiamento di stili di vita. Rivista Italiana di Nutrizione clinica Volume III, numero 4, Dicembre 2019.

13. Bert G. Medicina narrativa. Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.

14. Montagano S, Pazzagli A. Il genogramma. Franco Angeli, 2002.

15. Quadrino S. Il colloquio di counselling. Change, 2009.

16. Bateson G. Verso un’ecologia della mente. Adelphi, 1976