"Il counseling nutrizionale: uno strumento strategico per il trattamento del paziente diabetico"

 
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ARTICOLO ORIGINALE

Il counseling nutrizionale: uno strumento strategico per il trattamento del paziente diabetico

E. Oliveri (1), F. Scaramelli (2)

1 Dietista e Counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN)

2 Professional Counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN)

Pubblicato il febbraio 2021


Riassunto

Il DMT2 colpisce, in Italia, circa il 5,7% della popolazione, raggiungendo una prevalenza del 20% nelle persone con più di 75 anni. Secondo vari studi è una patologia con valenza sociale, che crea i maggiori scompensi in persone con non elevata reattività, con difficoltà a cambiare comportamenti consolidati per assumerne di più adatti alla nuova situazione.

In questo scenario, l’adherence alla terapia dietetica si aggira intorno al 35%, configurando entrambi i co-protagonisti come “perdenti”: il professionista sanitario avvilito nel chiedersi perché “non fa ciò che gli ho detto”, il paziente con una condizione di salute non migliorata. È in primo piano la difficoltà di affiancarsi a un paziente complesso con una patologia che “non si vede e non si sente”, che può essere poco compresa nella sua gravità.

Rendono più complesso il quadro le narrazioni che il paziente fa sul diabete, riportate da amici, parenti, verificate presso il “dottor Google”, infarcite di informazioni inesatte e inattendibili. In questa cornice è utile una modalità di conduzione dell’incontro basata sull’utilizzo consapevole e strategico della comunicazione, delle parole e della relazione, strumenti che attualmente non trovano una loro collocazione nel percorso formativo universitario dei sanitari: tale modalità può essere rappresentata dal counseling nutrizionale.

Esplorazione, ascolto attivo, evitamento dei modi barriera e della reattanza psicologica, scelta delle domande appropriate sono alcune delle tecniche comunicative, proprie del counseling nutrizionale, che migliorano la capacità di entrare in relazione con i pazienti migliorando l’ahderence al percorso dietoterapico.

Con le tecniche del counseling nutrizionale diventa possibile passare dalla prescrizione del cosa fare per i pazienti con diabete, al rendere possibile mettere in atto le prescrizioni facendole proprie, con un cambio di prospettiva che permetta ai pazienti di vederle non più come delle limitazioni alla propria libertà, ma come fedeli compagne di viaggio in un nuovo percorso.

PAROLE CHIAVE

diabete; complessità; relazione; counseling nutrizionale

Introduzione

Il diabete di tipo 2 colpisce circa tre milioni e mezzo di persone in Italia, il 5,7% della popolazione residente. La sua insorgenza è fortemente correlata all’età, raggiungendo una prevalenza del 20% nelle persone con più di 75 anni. Le persone colpite sono in leggera prevalenza maschi, anche se la differenza di genere si attenua superando i 75 anni.

È una patologia con valenza sociale, che crea i maggiori scompensi prevalentemente in persone con non elevata reattività, con difficoltà a cambiare comportamenti consolidati e spostarsi verso comportamenti più commisurati alla nuova situazione di salute(1).

Uno studio di Mc Nabb evidenzia come il solo 7% dei pazienti diabetici sia pienamente aderente a tutti gli aspetti del proprio regime terapeutico; nello stesso studio si evidenzia come l’adherence alla terapia dietetica si aggiri intorno al 35%. Così, di riflesso, si registrano numeri significativi di pazienti con scompensi glicemici(2). Dallo studio citato(2) risulta che il paziente spesso prenda in considerazione più che altro l’aspetto farmacologico della prescrizione clinica, lasciando cadere nel vuoto gran parte delle indicazioni relative al cambio di stile di vita, e in particolare quelle dietetiche, nonostante sia reso in modo esplicito che il cambio di alimentazione sia essenziale per il buon funzionamento degli ipoglicemizzanti orali e della terapia insulinica. In questo scenario entrambi gli attori co-protagonisti spesso ne escono “perdenti”: il professionista sanitario avvilito nel chiedersi cosa impedisca a quella persona di seguire correttamente le terapie prescritte ed il paziente con una condizione di salute sempre più precaria(3).

Secondo una meta-analisi eseguita in Inghilterra(4) nel 2016 la responsabilità di tale esito è da attribuire solo in parte alle caratteristiche del paziente, mentre una parte di responsabilità è da addossare al professionista. Lo studio comprendeva 172 articoli inerenti l’argomento diabete, prevalentemente di provenienza statunitense e inglese. Nella realtà descritta, è in primo piano la difficoltà di affiancarsi ad un paziente complesso come quello affetto da diabete, una patologia che “non si vede e non si sente”, motivo per il quale può essere facilmente poco compresa nella sua gravità da chi ne è affetto.

A rendere ancora più complesso il quadro ci sono le narrazioni che spesso il paziente conosce riguardo al diabete, riportate da amici, parenti, amici di amici, e verificate presso il dottor Google, con il risultato di renderle infarcite di informazioni inesatte e inattendibili. Nei racconti dei pazienti diabetici spunta inoltre il timore che la malattia alteri la loro percezione all’interno dei sistemi cui fanno riferimento, come ad esempio la famiglia, il gruppo di lavoro, il gruppo degli amici, con relativa paura del cambio di status(5). G. Iacomino et al.(6) citano la tesi secondo la quale «l’efficacia della terapia non è solamente dovuta alla perizia del medico ed alle proprie conoscenze scientifiche, ma risulta anche dipendente dalla risposta personale del paziente, intesa non come semplice risposta biologica ma come un fenomeno complesso nel quale diversi fattori giocano un ruolo importante».

Nella nostra esperienza la pratica del Counseling nutrizionale può contribuire a rendere il paziente meglio disposto alla comprensione del processo terapico e alla adherence ad esso. Certamente questa pratica implica un aumento dell’assunzione di responsabilità del professionista, che aggiunge al proprio carico il dovere di far funzionare la comunicazione in maniera efficace.

A. Maffettone, in una review del 2014, sottolinea la necessità che si prenda atto della complessità gestionale del diabete, ed elenca degli obiettivi per la maggior parte dei quali il raggiungimento implica una formazione comunicativa professionale(7). D’altro canto la coscienza che «Nessuna comunicazione si svolge nel vuoto […] chi ascolta a sua volta è chiamato a partecipare …»(8) deve confortare sull’efficacia dell’uso di una comunicazione ben strutturata, tenendo presente che «… la legge stessa affermi che il tempo della comunicazione è tempo di cura»(9). Lo stesso studio inglese(4) citato precedentemente rileva come i professionisti considerino un peso la necessità di interloquire con i pazienti in assenza di strutture adeguate, con tempi ristretti e con un deficit di formazione nel campo della comunicazione, abilità per lungo tempo ritenuta estranea alla pratica medica e sanitaria, implementata come prevalentemente tecnicistica.

Discussione

È da queste considerazioni che può essere compresa l›utilità di avere uno strumento quale il counseling nutrizionale(10), ossia una modalità di conduzione dell’incontro con il paziente basata sull’utilizzo consapevole e strategico della comunicazione, delle parole e della relazione; questi sono tutti strumenti che attualmente non trovano una loro collocazione nel percorso formativo universitario e in toto sono lasciati al buon senso del professionista sanitario, che, se pur spinto dalle migliori intenzioni, può commettere degli errori dettati dalla scarsa conoscenza dei processi comunicativi e delle regole che li governano.

Rushforth et al.(4) mettono in evidenza come i professionisti subiscano delle ripercussioni negative, soprattutto sul piano emotivo, dalle difficoltà che incontrano nel gestire il rapporto con alcuni pazienti diabetici: frustrazione, diminuzione del senso di efficacia(12).

Non tutte queste difficoltà sono da imputare al livello relazionale/comunicativo, ce ne sono di strutturali e di natura strettamente terapeutica; la mancanza di adherence alla terapia rappresenta, comunque una importante fonte di frustrazione. Le attività di counseling possiamo intenderle come «un’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità di un utente promuovendone atteggiamenti attivi e propositivi e stimolandone le capacità di scelta»(6) ovverossia un certo numero di abilità e tecniche che siano in grado di favorire la svolta, il cambiamento necessario.

Nel caso del counseling nutrizionale in pazienti diabetici la svolta è resa necessaria dall’insorgere dello stato patologico, ma la presa di coscienza della nuova necessità non è scontata né immediata, in un gran numero di casi, ed è il professionista sanitario che ha il compito di costruirla.

Una delle prime tecniche appartenenti alla cornice del counseling nutrizionale è quella dell’esplorazione del mondo dell’altro(10), consistente, ad esempio, nel farsi raccontare dal paziente cosa sa della propria condizione di salute/malattia invece di argomentare noi su di essa (secondo Thomas Gordon argomentare è uno dei modi barrier(13) della comunicazione), rischiando di metterci in contrasto con i suoi assunti e con le informazioni in suo possesso, comportamento da evitare se vogliamo conservare la relazione con esso. L’esplorazione, attraverso l’uso delle giuste domande(14), renderà più efficace il passaggio di informazioni permettendoci di affiancare il nostro sapere al sapere del paziente; sarà più facile, così, che esse vengano accolte da chi le riceve senza innescare un dialogo fronteggiante e senza rimarcare il rapporto up-down, che è tipico della relazione professionista sanitario-paziente.

Nel modello del counseling nutrizionale non esiste la concreta possibilità di standardizzare le parole: infatti, dato che la relazione tra paziente e professionista sanitario è co-costruita e non a una sola direzione, le parole da usare variano per ogni caso, in relazione non solo alle esigenze del paziente, ma della sua cultura di riferimento, del suo approccio motivazionale, del rapporto che riusciamo a co-costruire. In tabella 1 si riporta uno stralcio di un caso clinico per meglio comprendere ciò di cui si sta parlando.

 
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L’esplorazione curiosa del mondo del paziente, sul modello esemplificato nella tabella 1, permette di vedere quest’ultimo nella sua unicità, nell’unicità della sua storia che, per quanto agli occhi del professionista sanitario possa essere infarcita di errori e considerazioni bizzarre, deve essere considerata come parte del suo modo di affrontare la malattia e non è assimilabile alla modalità di altri pazienti afflitti dalla stessa patologia, per quanto possano essere somiglianti.

Accurate tecniche comunicative permettono quindi di non banalizzarne la narrazione e accoglierla come parte del modo di quel paziente di vedere quella malattia. L’esplorazione sapientemente eseguita(15) ci permette, quindi, di aprire una finestra sulla vita della persona che abbiamo di fronte: per la natura della loro patologia i pazienti diabetici devono seguire una serie di comportamenti quotidiani per prendersi cura della propria condizione, da mettere in atto seguendo un piano alimentare specifico, impegnandosi in una adeguata attività fisica, assumendo farmaci qualora indicato, monitorando i livelli di glucosio nel sangue, adottando le indicazioni mediche appropriate per le eventuali complicanze della patologia e sebbene medici, dietisti ed infermieri conoscano bene la necessità di queste azioni, non possono sapere che impatto possano avere sulla vita del paziente e come esso viva questi “rituali”.

Questa conoscenza, invece, può fare la differenza: prendersi cura del paziente e non solo della sua malattia(16) può essere il mezzo per arrivare a capire perché quel paziente fa o non fa ciò che gli è necessario per la sua salute.

All’esplorazione del mondo dell’altro si affianca un’altra tecnica comunicativa tipica del counseling nutrizionale, ovverosia l’ascolto attivo. «L’ascolto attivo specifica vigilanza, abbinata alla pratica di parafrasare, chiarificare»(17); «L’ascolto attivo pone come fine non quello di rispondere, ma quello di far esprimere l’interlocutore al meglio e di metterci nel la condizione di comprenderne appieno le opinioni. L’ascolto, per poter essere definito attivo, deve avere delle caratteristiche peculiari […] deve essere partecipato, inserito all’interno della relazione in modo da renderla più solida, sottolineato e mostrato con domande e restituzioni che fanno parte integrante delle sue peculiarità […] gli atteggiamenti mentali che fanno da premessa all’ascolto attivo sono la curiosità, la consapevolezza e la gestione dei propri pregiudizi.»(10).

Questa abilità del counseling nutrizionale aiuta a rendere il racconto del paziente partecipato e personale, mettendoci al sicuro dal rischio di confondere, sovrapporre ciò che ci sta dicendo con ciò che ci ha raccontato un altro paziente, utilizzando una scorciatoia mentale(18) che ci fa riunire i pazienti in grandi gruppi omogenei, privandoli dell’unicità di ciascuna storia, generalizzando e banalizzandone la narrazione. Anche banalizzare e generalizzare, peraltro, sono indicati da Thomas Gordon (Tabella 2) come modi barriera della comunicazione(13).

L’ascolto attivo utilizza domande, riassunti e commenti in modo strategico, rispettivamente per approfondire aspetti poco chiari, modulare l’ampiezza della narrazione in modo che sia funzionale al nostro compito, oppure per esplorare specifiche difficoltà, per fare ordine nella narrazione, spesso caotica, dei pazienti e far emergere ciò che è importante in quel momento, e infine per enfatizzare le parti che riteniamo importanti, e avvicinarci al nostro interlocutore evitando contrapposizioni dannose.

Un aspetto frequente nella risposta del paziente diabetico alle prescrizioni è la reattanza psicologica(19). Lo psicologo americano Jack Brehm sostiene che, quando le persone ritengono che la loro libertà di mettere in atto un dato comportamento è minacciata, si attivi uno stato motivazionale compulsivo diretto al ripristino della libertà perduta. Giorgio Bert la descrive come uno modo di rispondere per il quale “... tanto maggiore è la pressione esercitata sulla persona affinché compia (o non compia) determinate azioni, tanto maggiore sarà la reattanza psicologica e quindi in termini pragmatici l’insuccesso. La cosa vietata diventerà la più desiderabile e vi sarà un’intensa motivazione a ripristinare la propria libertà di ottenerla.

Se poi la pressione diventerà eccessiva subentreranno frustrazione, senso d’impotenza, depressione”(15). In altri termini, e facendo un esempio diretto sui pazienti diabetici, per il fenomeno della reattanza queste persone sviluppano spesso un sentimento di ribellione verso le restrizioni alimentari indicate loro, compiendo scelte paradossali e autolesionistiche, come quelle, ad esempio, di mangiare grandi quantità di alimenti dolci. Questa caratteristica, fortemente ostacolante l’adherence alla terapia dietetica, deve essere accolta strategicamente, anche se, ovviamente, non condivisa.

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Nell’incontro professionista sanitario – paziente, con le tecniche di counseling nutrizionale, trova spazio non solo la possibilità per il paziente di raccontarci quelle spinte a comportamenti non coerenti alla sua patologia, ma anche la possibilità per il professionista di riposizionarsi nel rispetto del suo ruolo e del suo mandato, senza che questo provochi un’escalation simmetrica (Tabella 3)(20).

Il passaggio successivo prevede di commentare questa descrizione allargandola con qualche altro scenario possibile, con qualcosa che possa ridurre questa difficoltà vissuta nel quotidiano (strategia comportamentale). Inoltre le strategie comportamentali devono essere inserite in una visione più articolata, che contenga contrappesi per i quali valga la pena di scegliere di effettuare le restrizioni necessarie.

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Se il nostro lavoro è stato efficace, nel tempo cadrà la necessità del contrappeso, come potrà cambiare il modo in cui il paziente vedrà le sue rinunce: gli atti necessari al mantenimento della sua salute diverranno sue scelte, perdendo la connotazione di prescrizione e, contemporaneamente, quella di rinunce.

La capacità di accogliere ed esprimere vicinanza a quanto ci viene esplicitato, nonostante lo si ritenga irragionevole, è quindi una tecnica di comunicazione e di relazione che deve essere appresa e utilizzata per poter, poi, effettuare un rilancio terapeutico con maggiori possibilità che venga attuato. Il counseling nutrizionale offre altri spunti e vantaggi, come quello di imparare a costruire interventi con domande riflessive(18) e riassunti appropriati che permettano al paziente di osservare i propri comportamenti, appunto, riflettendoci su, notare i comportamenti funzionali e quelli che, invece, sono disfunzionali al proprio obiettivo di salute, riflessioni dalle quali è possibile costruire nuove descrizioni condivise con il paziente, dalle quali esso possa trarre la possibilità di avere nuove visioni e punteggiature della sua condizione, che gli diano la chance di effettuare cambiamenti duraturi del proprio stile di vita.

Questo è l’aspetto del counseling nutrizionale che possiamo definire salutogenico(21), ossia orientato a implementare una visione degli stili di vita tali da permettere un’esistenza che possa dirsi sana e soddisfacente. In altre parole con il counseling nutrizionale possiamo implementare la visione della parte sana del paziente, rendendola preminente rispetto a quella che deve rispettare prescrizioni farmacologiche e dietoterapiche.

Ci sono vari articoli(11,22) che sottolineano l’importanza dell’Educazione Terapeutica per la cura del paziente diabetico; in uno di essi i comportamenti alla base di questo rapporto sono definiti come “… una vera e propria postura professionale per l’operatore sanitario che la svolge”(11), una postura che deve essere acquisita e consolidata nel tempo attraverso l’uso di tecniche adeguate.

Attraverso l’uso delle tecniche del counseling nutrizionale diventa possibile passare dalla prescrizione del cosa fare per i pazienti con diabete, al modo in cui diventa possibile mettere in atto le prescrizioni integrandole nel proprio mondo, facendole proprie con un cambio di prospettiva che permetta loro di vederle non più come delle limitazioni alla propria libertà d’azione, ma come fedeli compagne di viaggio in un nuovo percorso, in una strada che è tutta da percorrere, in cerca delle opportunità che offre, come il proseguire la propria vita con buona qualità.

È la conquista della qualità di vita che deve essere evocata e resa visibile con le tecniche comunicative del counseling nutrizionale, conducendo il paziente su territori sconosciuti e nuovi. Le domande appropriate e curiose, affiancate dai commenti riflessivi, evocano, senza indicare, le possibilità del nuovo percorso(21); stimolando e suscitando quindi nuovI obiettivi nel del paziente che non necessariamente debbono riguardare argomenti strettamente connessi alla salute: possiamo cercare le motivazioni, ad esempio, nella passione per il mare o per la montagna, nel gusto di poter indossare abiti eleganti o semplicemente in quello di potersi aprire a un diverso modo di cucinare.

L’evento importante reso possibile dalle tecniche di counseling nutrizionale è che gli obiettivi non saranno quelli imposti dalla necessità di salute, proposti con minacce di malattie ulteriori o terribili complicanze, utilizzando quelli che abbiamo già definito come modi barriera, ma saranno quelli che proporrà il paziente, attingendo appunto alla propria gamma esperienziale.

E se avrete l’impressione che per mettere in atto tutto questo occorra molto tempo, riflettete sul vantaggio, vostro e sociale, che avrete dall’aver instaurato un regime di partnership con il vostro paziente che lo tenga lontano da ricadute nei precedenti comportamenti non salutari, evitando, o almeno procrastinando, l’insorgenza delle note complicanze associate al diabete. Vi renderete conto probabilmente che avrete messo in atto la strategia di partire dopo per arrivare prima(23), con gli evidenti vantaggi connessi.

Punti chiave

  • Il diabete di tipo 2 colpisce circa il 5,7% della popolazione È una patologia con valenza sociale: il 7% dei diabetici è pienamente aderente al proprio regime terapeutico; l’adherence alla terapia dietetica è del 35%

  • È in primo piano la difficoltà di affiancarsi al paziente affetto da diabete, poco compreso nella sua gravità

  • È utile avere a disposizione il counseling nutrizionale, modalità di conduzione dell’incontro basata sull’utilizzo consapevole e strategico della comunicazione, delle parole e della relazione

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